È proprio brutta la fotografia di Michela Vittoria Brambilla, ritoccata da Calderoni con un cerchio che evidenzia l’interno coscia. Brutta per la banalità della sottolineatura, che evidenzia le parti più ovvie. Sintomo di un erotismo da celodurismo che ritorna, se mai era stato abbandonato, capace di riconoscere la sensualità di una donna solo negli organi genitali e non, che so, in un pudico arrossamento.
Ma c’è di peggio. Al di là della collocazione del cerchio, della prospettiva da buco della serratura, quello che sconcerta è la scelta iconoclasta di sporcare con il proprio pennarello una figura. Bella o brutta che sia, un’immagine può sempre essere guardata con diversa intelligenza e capacità di coglierne la complessità d’insieme, oltre che un particolare significativo perché inaspettato. Il cerchio in sé impoverisce il ritratto e lo deturpa. Lo impoverisce perché sceglie e impone alla vista un unico profilo, come se null’altro ci fosse da vedere. Lo deturpa, come si rovina un libro sottolineandolo a penna, trasformandolo da soggetto da ascoltare a oggetto sul quale esercitare la propria attività di scrittura.
Maschilismo è anche togliere diritto di parola alla controparte femminile, e questo è ciò che accade sovrapponendo all’immagine della Brambilla quello scarabocchio: lacerazione che zittisce quanto essa aveva da dire, trasformandola in un pretesto per ribadire la propria presunta virilità.
Mi viene in mente un ritratto di donna nuda di Egon Schiele, nel quale i genitali femminili, ben in vista, caricano del loro erotismo l’intera figura, ma che non sarebbe mutilabile attraverso tagli di alcun tipo. Immagini forse più ricche di quella della Brambilla, ma è sempre anche una questione di sguardi. Volendo nobilitare la femminilità di una donna, si può osservare la luna alla quale essa allude o il dito che indica la sua immediata fruizione. Il mirino, un indice puntato, dice che Calderoli è capace solo di guardare il dito, rivolto verso il basso.
